Professore ordinario di diritto del lavoro, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Trento
Di primo acchito non saprei dire se il prof. Roberto Toniatti sia riccio oppure volpe (1). Come le volpi, egli è giurista “centrifugo più che centripeto”, che si muove su molti piani e “coglie l’essenza di una varietà di esperienze e di temi per ciò che questi sono in sé” (2). Al contempo, almeno per alcune grandi scelte sviluppate nella sua lunga attività di ricerca, egli ha preferito, come i ricci, una visione riferita a un sistema coerente con “un principio ispiratore unico e universale” (3). Sul tema della autonomia - tra i più cari e battuti dal nostro Roberto - i caratteri di riccio e di volpe stanno insieme in una sintesi che ci restituisce una bella istantanea della sua complessa personalità.
Qui mi riprometto di partire dalla “cultura della autonomia” (4) di Roberto Toniatti, per dialogare con lui e provare ad aggiungere qualcosa alle sue intuizioni rispetto alla mia prospettiva di ricerca - e di contributo al policy making - sulle istituzioni del mercato del lavoro in Trentino. La cultura dell’autonomia - e cioè il “concetto di sintesi” che Toniatti ci offre - può essere condiviso anche dal e nel contesto specifico degli studi sul lavoro e sul welfare ed altresì confermarsi rispetto a risultati di analisi ulteriore proiettati ad una riflessione sul futuro incerto che ci aspetta.
In estrema sintesi, utilizzerò l’idea della cultura dell’autonomia come approccio di cui verificare la presenza fattuale in un contesto peculiare come è quello delle istituzioni locali del mercato del lavoro, per avvalermene integrandolo con la riflessione teorica propria del mio campo di studi (5). La capacità istituzionale sul terreno delle politiche del lavoro e del welfare costituisce senz’altro prova ex post della pre-esistenza di una cultura dell’autonomia quale potenziale da esercitare e sviluppare. Da questo punto di vista, il Trentino rappresenta un’esperienza di esercizio concreto di autonomia sul terreno delle istituzioni di politica del lavoro che non ha eguali nel resto del nostro Paese; un’esperienza che ha dimostrato quanto in questo contesto specifico sia possibile, oltre al resto, perseguire e tenere insieme crescita economica e coesione sociale.
In termini generali, il presidio di un territorio piccolo ha comportato spesso - dall’ultima guerra alla prima paura pandemica mondiale – l’esigenza di rinnovamento dei valori di fondo dell’autonomia. Il Trentino, a differenza dell’Alto Adige, è fortemente italiano. La specialità, dunque, non è stata solo una componente di garanzia rispetto al resto del paese. L’autonomia del Trentino, per continuare a giustificare la sua ragion d’essere, è stata costretta a rimanere in movimento, cioè tesa naturalmente a fornire risposte a problemi e bisogni nuovi e diversi. Sul terreno del welfare e delle politiche del mercato del lavoro il Trentino è stato terreno di esperienze di innovazione, rappresentando idealmente l’intersezione cruciale tra autogoverno e soluzioni sperimentali. Qui la localizzazione dei processi di innovazione istituzionale e sociale – la cd. “propensione al federalismo”, concetto molto caro a Toniatti (6) - è un elemento essenziale e da sottolineare con forza.
Del resto, ogni territorio, per come foggiato dalle vicende della storia, ha in dote un certo grado di “coralità innovativa”: questa è basata non solo sulla vicinanza degli attori del sistema economico, ma anche sulla “omogeneità e congruenza culturale” di chi vive quel territorio (7). Questa coralità si articola altresì nelle figure istituzionali che costituiscono lo sfondo da cui dipendono e su cui si proiettano le decisioni dei singoli. Ci sono luoghi, cioè gruppi umani insediati, che hanno evidenziato nel tempo un loro “bernoccolo” tipico, maturato negli anni, che ha plasma to conformemente il territorio e la forma mentis della corrispondente popolazione. Portare alla luce più chiaramente questo aspetto, isolarlo e concettualizzarlo è fondamentale. L’analisi di Toniatti sulle istituzioni dell’autonomia e, prima ancora, sulla cultura dell’autonomia resta un tassello essenziale di questo processo di consolidamento.
Sul terreno che mi compete, aggiungerei che il Trentino vanta una tradizione forte in materia di istituzioni del mercato del lavoro e politiche attive del lavoro grazie ad una cultura (e ad una struttura) amministrativa radicata, soprattutto in ragione di un forte dialogo sociale storicamente praticato, cioè grazie al coinvolgimento concreto delle forze sociali dell’autonomia. Il caso della Provincia di Trento rimane, inoltre, nei fatti ancora oggi il solo in Italia in cui a presidio del mercato del lavoro opera una Agenzia sostanzialmente one-stop shop, la cui azione si fonda su un Piano strutturato di politiche condivise ad inizio legislatura e portate avanti congiuntamente, dagli attori pubblici e da quelli privati, nel corso della stessa. In estrema sintesi, la Provincia di Trento governa e coniuga strumenti di politica del lavoro ad ampio raggio. I caratteri dell’intervento pubblico disegnato con la legge provinciale n. 19 del 1983, definiscono una cornice complessa, che si appoggia sulla Commissione provinciale per l’impiego, sull’azione della Giunta (che adotta il documento contenente il Piano di politica del lavoro validato dalla Commissione) e quindi sulla Agenzia del Lavoro per la parte attuativa. La regia è pubblica, ma le forze sociali rivestono un ruolo significativo tanto dentro, perché siedono (in maggioranza) nel Consiglio di Amministrazione e quindi decidono sulla attuazione delle politiche, come fuori, perché occupano così naturalmente una posizione di primo piano nei processi di innovazione del territorio, spesso innescando circuiti virtuosi nella costruzione della policy e nella gestione delle risorse.
Nel decennio alle spalle (2009-2019) le istituzioni del mercato del lavoro in Trentino hanno funzionato a dovere e hanno contribuito a fare sistema e preservare nel tempo questo rilevante capitale sociale. Tra gli indicatori più significativi ve ne è uno che ha visto il Trentino collocato in posizione di rilievo sia a livello nazionale che europeo ed è quello relativo all’occupazione femminile, con la dimostrazione che policies di conciliazione lavoro–famiglia costruite e governate al livello locale funzionano. Ma così, in realtà, si potrebbe dire anche per altri strumenti (per esempio, il modello trentino dell’inserimento delle persone svantaggiate e fragili mediante cooperative sociali è stato di recente annoverato tra le migliori prassi europee nel campo) (8).
Se guardiamo indietro, possiamo dire che i temi del mercato lavoro in questi ultimi dieci anni sono stati al centro delle politiche provinciali, tanto nella chiave degli interventi strutturali come nell’ottica delle misure sperimentali: gli ammortizzatori sociali, il Fondo di Solidarietà territoriale, la previdenza complementare, le politiche della formazione in sinergia con fondi interprofessionali e organismi bilaterali, i servizi di incontro domanda e offerta. Vi sono stati impegni significativi sia in termini di progettualità che di risorse investite e si può dire che il supporto delle forze sociali sia stato essenziale: il modello Trentino da questo punto di vista è rimasto ben visibile, coerente con la sua storia. Mi sembra di poter sintetizzare in poche righe che il Trentino, grazie alla “cultura della autonomia”, abbia saputo essere laboratorio di innovazione sociale: nodi intricati della realtà sono stati sciolti, proponendo, in una cornice coerente, soluzioni pragmatiche, ragionevoli e ispirate alle migliori forme di innovazione sociale.
In molti casi sono state portate a compimento scelte che hanno anticipato e talvolta sostituito lo Stato centrale e le sue articolazioni periferiche. Soprattutto, sono state proposte soluzioni innovative che hanno cambiato tono e verso del dibattito nazionale verso prospettive di consenso più largo ed effetti più incisivi. Si pensi al “reddito di garanzia” vero antecedente storico delle misure di contrasto alla povertà nazionali. Si pensi ancora alle sperimentazioni della profilazione per chi cerca lavoro, alla pratica della condizionalità, alle politiche di ricollocazione e alla loro valutazione secondo protocolli a controllo casuale (i cui risultati mostrano il ruolo effettivo dei collocatori privati e quello, essenziale, dei nostri Centri per l’Impiego), il Real (reddito di attivazione al lavoro) disegnato nella medesima ottica valutativa, con l’idea di premiare chi volontariamente rinuncia al sostegno passivo della NASpI per lavorare.
Se guardiamo al futuro, le incertezze prevalgono. Viviamo ora nel mezzo di un tempo pandemico di cui non conosciamo ancora gli esiti. Per reagire alla pandemia occorre, in ogni caso, come tutti sappiamo, forte senso di responsabilità. Occorre in sintesi valorizzare la prontezza della risposta ai problemi, così come la partecipazione attiva delle forze economiche e sociali.
Rivitalizzare il capitale di condivisione di progettualità e propensione al dialogo che corrisponde alla “cultura dell’autonomia”, diviene allora prioritario, perché è qui che si colloca la costituzione materiale del territorio Trentino, che dovrebbe continuare ad essere portatrice di valore aggiunto. Per tenere insieme crescita e coesione sarà perciò necessario il contributo di tutti e il dialogo dovrebbe vedere come prima parte attiva la pubblica amministrazione, ai diversi livelli. Il modello istituzionale della Provincia autonoma di Trento, comprensivo delle sue articolazioni infra-provinciali, dovrebbe essere attentamente vagliato alla luce dello scenario pandemico e delle sfide dei prossimi anni. Le risposte dell’emergenza saranno da trasformare in risposte di sistema e produrre spinte rinnovate di partecipazione alla vita economica e sociale e perché ciò possa avvenire occorre che la azione pubblica sia la prima a rinnovarsi nell’assetto, nella riqualificazione delle persone che vi operano, nella semplificazione dei processi.
Per andare oltre il momento di emergenza e gettare solide basi per una ripartenza solida, confronto e dialogo istituzionale sui temi del mercato del lavoro, dello sviluppo e della coesione dovranno essere ad ampio raggio e continui nel tempo, sia nella definizione delle strategie che nella stesura delle singole misure. Si tratta di rinnovare una pratica consolidata per la comunità, eppure con un significativo cambiamento nel metodo di fondo. Essenziale dovrà essere, in particolare, il momento della selezione delle linee strategiche, dei progetti e, quindi, la condivisione degli strumenti di monitoraggio delle azioni e la valutazione dei risultati conseguiti, così da potere conoscere i passi compiuti ed, eventualmente, correggere la rotta al fine del loro riallineamento ad eventuali nuovi scenari sanitari ed esigenze socio-economiche.
Sarebbe da progettare un vero e proprio nuovo grande Patto di autonomia su sviluppo e coesione per il Trentino, per contribuire a realizzare un ecosistema di reazione alla pandemia favorevole al cambiamento, con il coinvolgimento di tutti gli attori interessati in un comune modello, capace di garantire anche in futuro alti livelli di crescita e sostenibilità. Il sostegno allo sviluppo, alla competitività e alla produttività del sistema economico andrebbero, infatti, anticipati da precise analisi sull’evoluzione dello scenario pandemico, con le conseguenti dinamiche innescate sulle fasce più deboli della popolazione, in particolare per quanto riguarda le persone fragili, le persone anziane, le donne e la componente più giovane della nostra comunità. Si dovrebbe avviare al contempo un percorso strutturale di innovazione tecnologica del e per il territorio, anzitutto con riguardo alla automazione e alla digitalizzazione. Il territorio ha bisogno di essere connesso verso l’esterno e all’interno, con progetti capaci di connettere pubblico e privato verso sfide strategiche. Tale percorso dovrebbe sostenere e accompagnare qualità dello sviluppo e competitività delle imprese e di tutti gli attori economici; dovrebbe indirizzare e accompagnare il fondamentale contributo del terzo settore e, non da ultimo, affiancare ai risultati in termini economici la sua sostenibilità, cioè il miglioramento del benessere e della qualità della vita delle persone che in Trentino lavorano e vivono.
In questo scenario di reazione e di innovazione tutta da costruire, l’invito di Roberto Toniatti all’esercizio di confidence-building (9) in funzione di rafforzamento della “cultura della autonomia” suona attualissimo. Così come da raccogliere e fare nostro, sulla stessa linea, è il suggerimento di valorizzare al meglio gli aspetti di “rete”, per conferire unità di intenti, di condivisione di progettualità, di sinergia tra entità che si qualificano come dotate di una rispettiva autonomia strutturale e funzionale, le istituzioni di governo, l’università, gli attori sociali, le imprese: “l’esercizio congiunto di taluni compiti propri rappresenta (o almeno rappresenterebbe) un’ottimizzazione – non una compressione – della rispettiva autonomia” (10).
1. La dicotomia è ovviamente quella di I. Berlin, Il riccio e la volpe, in Il riccio e la volpe, Milano, Adelphi, 1986 (ma 1953) utilizzata da Berlin per indicare una delle più profonde differenze che dividono gli scrittori, i pensatori e addirittura gli esseri umani in generale.
2. I. Berlin, Il riccio e la volpe, cit., p. 72.
3. I. Berlin, Il riccio e la volpe, cit., p. 71.
4. R. Toniatti, La “cultura della autonomia” quale concetto di sintesi, condiviso, complementare, interdisciplinare: l’approccio giuridico istituzionale, in R. Toniatti (a cura di), La cultura dell’autonomia: le condizioni pre-giuridiche per un’efficace autonomia regionale. Atti del Seminario organizzato nell’ambito della celebrazione della Giornata dell’Autonomia 2017, Trento, LIA eBooks, 2018.
5. R. Toniatti, La “cultura della autonomia”, cit., p. 2.
6. Da ultimo ancora in R. Toniatti, La “cultura della autonomia”, cit, p. 8.
7. G. Becattini, La coscienza dei luoghi, Roma, Donzelli, 2015.
8. SEDEC, The impact of social economy at the local and regional level, 2020, p. 31.
9. R. Toniatti, La “cultura della autonomia”, cit, p. 18.
10. Così R. Toniatti, La “cultura della autonomia”, cit, p. 11.