Professore ordinario di diritto internazionale, Facoltà di Giurisprudenza e Scuola di Studi internazionali, Università degli studi di Trento; già Preside di Facoltà
In questo brevissimo intervento, volto a ringraziare Roberto Toniatti e a rendergli omaggio, ho pensato di riportare – e mi scuso fin d’ora per l’autoreferenzialità – le parole che rivolgo ai miei studenti di diritto internazionale all’apertura del corso.
“Nel darvi il benvenuto al corso di diritto internazionale della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Trento vorrei preliminarmente parlarvi – per grandi linee – della storia di questa Facoltà, di com’è nata, di quali ne siano state le principali caratteristiche e di come sia evoluto l’insegnamento delle materie giuridiche, o almeno di alcune di esse nel corso degli anni.
Voi probabilmente vi chiederete cosa c’entra quanto vi dirò con il diritto internazionale. Proverò a soddisfare questa curiosità.
La Facoltà di Giurisprudenza di Trento è nata a metà degli anni ’80 del secolo scorso per iniziativa di alcuni professori, provenienti soprattutto dalle Università di Bologna e di Torino e subito affiancati da altri di altre zone d’Italia, che intendevano creare una Facoltà giuridica che potesse offrire agli studenti una formazione che, pur rispettando i requisiti ministeriali, andasse al di là dei tradizionali canoni, assai conservatori, osservati nelle Facoltà giuridiche del resto d’Italia. I canoni tradizionali, frutto probabilmente di alcuni luoghi comuni di lontana provenienza, prevedevano ad esempio che il diritto nelle sue varie articolazioni dovesse essere studiato secondo un’ottica esclusivamente interna, nazionale; che il diritto internazionale – nonostante gli sforzi di tutti gli internazionalisti contemporanei di dimostrare il contrario – fosse una materia più vicina alla filosofia che al diritto; che si desse molto spazio alle materie romanistiche. Infine, tranne alcune lodevoli eccezioni, era molto raro che ci fossero insegnamenti di diritto comparato.
In questo contesto, assai per così dire ingessato e comunque abbastanza omogeneo, a Trento c’era una comunità di studiosi che stava creando una Facoltà in cui a ciascun insegnamento di diritto positivo, diritto privato, diritto penale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto processuale civile, diritto processuale penale… doveva esserne affiancato un altro con in più la parola “comparato”. E questo perché tra coloro che avevano accolto l’invito a far nascere la Facoltà di Giurisprudenza di Trento molti, pur provenendo da una formazione tradizionale, avevano iniziato o promosso gli studi comparatistici in Italia. È da notare che all’epoca a nessuno passò per la mente di aggiungere la parola comparato alla materia del “diritto internazionale”, e questo perché si riteneva che lo studio e l’insegnamento del diritto internazionale avessero caratteristiche che non si prestavano alla comparazione, se non in un senso che proverò subito a chiarire.
Non devo ovviamente spiegare a voi studenti di questa Facoltà, molti provenienti da fuori Trentino-Alto Adige/Südtirol, la centralità che qui è stata data, ed è data, agli studi comparatistici nelle varie accezioni, e cioè non soltanto come metodologia alla quale fare ricorso nell’esame degli istituti e delle caratteristiche rilevanti dei diversi ordinamenti giuridici statali, oppure come metodo per comparare diverse materie collegate al diritto, o ancora come modo di affrontare, comparando i diversi percorsi seguiti dalla storia, i principali fenomeni storici e concetti filosofici connessi allo studio del diritto. Avete già avuto modo di apprezzare i pregi della comparazione, primo tra tutti quello di offrire più prospettive di studio e di analisi dei concetti giuridici, e tornerete a imbattervi nella comparazione nel prosieguo della vostra carriera di studenti.
Fino a qualche anno fa, in questa circostanza e cioè nell’avviare il corso di diritto internazionale, pur riconoscendo la particolare utilità in generale del ricorso alla comparazione negli studi giuridici e ricordando il successo dell’esperimento trentino che ha ormai pervaso Facoltà giuridiche che apparivano impermeabili a tale prospettiva, affermavo che il diritto internazionale era tuttavia immune dalla comparazione. Appariva infatti difficile parlare di “diritto internazionale comparato”, salvo che con questa espressione non si volesse alludere all’esistenza di diverse scuole, regionali o nazionali, africana, latino-americana, tedesca, francese, anglosassone, italiana, di New Haven… ciascuna capace di dare una visione originale dello studio e dell’insegnamento del diritto internazionale, materia che aveva tuttavia una sua unicità in ragione dei suoi soggetti e delle sue fonti.
Il convincimento d’insegnare una materia immune dalla comparazione si basava infatti sulla circostanza che per me è sempre esistito un solo modo d’illustrare le caratteristiche di fondo del diritto internazionale rispetto a quelle dell’ordinamento statale. Come avremo modo di ripetere più volte durante questo corso, il diritto internazionale si occupa di una società di “eguali” e non esiste un sistema accentrato di produzione, esecuzione e accertamento del diritto, contrariamente a quanto avviene per gli ordinamenti statali. Non c’è un legislatore mondiale, né un giudice mondiale e tanto meno un governo mondiale, per quanto secondo la Carta delle Nazioni Unite (che a sua volta non è la Costituzione mondiale) l’Assemblea generale possa discutere e deliberare su qualsiasi argomento; la Corte internazionale di Giustizia sia il principale organo giurisdizionale dell’ONU e il Consiglio di Sicurezza abbia la responsabilità primaria nel mantenimento della pace e sicurezza internazionale. Da queste considerazioni, come vedremo, derivano diverse conseguenze in relazione alle attività poste in essere dagli Stati e al modo in cui si forma la loro volontà nel partecipare al commercio giuridico internazionale.
Era dunque forte l’idea – lo ripeto – che il diritto internazionale fosse, per così dire, unico e comunque non suscettibile di comparazione, se non nel senso spiegato sopra. Rafforzava questo convincimento anche una delle mie prime letture di diritto internazionale nella quale un grande internazionalista, Oscar Schachter, faceva riferimento all’espressione “invisible college of international lawyers” (1) per descrivere una sorta di comune modo d’intendere i caratteri fondamentali del diritto internazionale da parte di coloro che, in tutto il mondo, lo praticavano – nei ministeri, negli studi legali, nelle organizzazioni intergovernative, nelle organizzazioni non governative, nelle piccole e grandi aziende – o lo insegnavano o facevano ricerca nell’ambito del diritto internazionale – nelle Università, nei think tank, nelle istituzioni culturali.
Da qualche anno a questa parte devo però segnalare che è sempre più diffuso, negli scritti di colleghi internazionalisti, soprattutto all’estero, il riferimento all’espressione comparative international law, così come sempre più spesso si parla, nel descrivere fenomeni di diritto internazionale, di comparative foreign relations law.
Che cosa s’intende con queste due espressioni e come si relazionano con il diritto comparato e con il diritto internazionale? Per quel che riguarda il comparative international law, che scaturisce proprio dal rapporto tra diritto internazionale e diritto comparato, lascio la parola a una brillante internazionalista australiana, Anthea Roberts, che nell’ultimo decennio ha dedicato energie e studi a questo tema e che si è anche chiesta in un recente volume se il diritto internazionale sia davvero internazionale (2). Anthea Roberts, nel descrivere e commentare il ruolo dei tribunali interni nella creazione e nell’attuazione del diritto internazionale ricorda che i giuristi hanno familiarità con il diritto comparato (inteso come lo studio delle analogie e delle differenze tra sistemi giuridici nazionali) e con il diritto internazionale (inteso come il diritto creato dagli Stati nei rapporti tra loro). E poi precisa che gli accademici e chi pratica il diritto devono ancora teorizzare (‘conceptualize’) una sintesi emergente tra diritto comparato e diritto internazionale attraverso la quale i tribunali interni e gli altri strumenti di governo adattano in vario modo il diritto internazionale, creando così una base per uno studio comparato. In estrema sintesi, secondo Roberts “academics, practitioners and international and national courts are increasingly seeking to identify and interpret international law by engaging in comparative analyses of various domestic courts decisions. This emerging phenomenon, which I term ‘comparative international law’, loosely fuses international law (as a matter of substance) with comparative law (as a matter of process)” (3).
Quanto invece alla materia comparative foreign relations law, è il curatore di un’eccellente raccolta di scritti sull’argomento che viene in soccorso. Nella prefazione al volume che raccoglie diversi contributi vertenti sul tema, Curtis Bradley dice: “comparative foreign relations law compares and contrasts how nations, and also supranational entities such as the European Union, structure their decisions about matters such as entering into and exiting from international agreements, engaging with international institutions, and using military force, as well as how they incorporate treaties and customary international law into their domestic legal systems” (4).
Le definizioni di comparative international law e di comparative foreign relations law appena ricordate potrebbero fare pensare che a Trento si possa ormai gettare il cuore oltre l’ostacolo e finalmente aggiungere, per la prima volta in Italia, il termine “comparato” alla materia del diritto internazionale.
Credo che sia nell’un caso che nell’altro l’oggetto dello studio sia pur sempre il diritto internazionale: entrambi gli approcci disciplinari appena descritti tendono in realtà a comparare la posizione degli Stati e delle loro articolazioni nel trattare questioni di diritto internazionale. E, d’altra parte, “to put it bluntly”, mentre è indubbio che nello studiare e applicare il diritto non si possa oggi prescindere dal constatare la pluralità di ordinamenti giuridici statali, escluderei di potere financo immaginare una pluralità di ordinamenti giuridici internazionali, benché in determinate materie possano nascere delle norme consuetudinarie regionali e particolari così come nel diritto internazionale si possono trovare comunità con regole specifiche che non sono però in grado di costituire un vero e proprio ordinamento distinto. La soluzione potrebbe forse essere quella di intendersi su che cosa significhi “diritto internazionale comparato”, avendo però ben presente che l’oggetto dell’indagine e della comparazione è pur sempre un ordinamento giuridico unitario (5).
Con la generica premessa che anche qui a Trento il diritto internazionale mantiene saldi i suoi tratti caratteristici - anche se con qualche influenza comparata, per lo meno per la presenza di tanti bravi comparatisti con forti interessi internazionalistici -, proveremo durante il nostro corso a dare risposte concrete anche alla questione dei rapporti tra il diritto internazionale e gli studi comparatistici”.
Fin qui le prime battute del corso di diritto internazionale. Credo che coloro che conoscono Roberto Toniatti abbiano già compreso perché in questa occasione ho pensato di richiamare le parole con cui apro il corso di diritto internazionale. Roberto è un uomo dai molteplici interessi culturali e dalla grande apertura intellettuale che, nella massima libertà, sollecita sempre riflessioni ulteriori e prive di pregiudizi qualsiasi sia il tema che con lui si discuta. In particolare, pur ponendo soprattutto in anni recenti grande attenzione a temi legati al federalismo, alle minoranze, al ruolo degli enti territoriali, ha dall’inizio della sua carriera avuto uno spiccato interesse per il diritto internazionale. Proprio per questo, nel corso del complicato anno che sta per finire, incontrandoci nei corridoi della Facoltà, gli ho accennato ai rapporti tra comparative international law, comparative foreign relations law e diritto internazionale. E avendolo come al solito trovato informato e pronto a riflettere, ci siamo ripromessi di discutere presto di questo e di altro, come facciamo da quasi trent’anni.
Trento, 20 dicembre 2020
1. O. Schachter, The Invisible College of International Lawyers, in Northwestern University Law Review, 1977-78, p. 217 ss. Segnalo in proposito anche S. Villalpando, The ‘Invisible College of International Lawyers’ Forty Years Later, in ESIL Conference Paper Series, 2013, Vol. 3 n. 1, pp. 1-14; A.-M. Slaughter, A New World Order, Princeton and Oxford, 2004, nonché D. A. Hathaway and S. J. Shapiro, The Internationalists. How a Radical Plan to Outlaw War Remade the World, New York, 2017.
2. A. Roberts, Is International Law International?, Cambridge, 2018.
3. A. Roberts, Is International Law International?, Cambridge, 2018.
4. Curtis A. Bradley, The Oxford Handbook of Comparative Foreign Relations Law, Oxford, 2019, p. vii.
5. M. Forteau, Comparative International Law Within, Not Against, International Law. Lessons from the International Law Commission, in American Journal of International Law, 2015, pp. 498-513.