Ordinario di Diritto costituzionale comparato nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma LUMSA.
È difficile oggi sostenere che la confessione religiosa che un tempo costituiva la matrice unitaria di un popolo e la base identitaria di una nazione, abbia mantenuto il medesimo ruolo di fronte alla diversificazione delle credenze religiose che attraversano la popolazione, insieme al processo di secolarizzazione delle società odierne (1).
I motivi che hanno condotto a una tale diversificazione possono essere rinvenuti negli studi demografici e sociologici. Quel che preme far rilevare è che una delle espressioni più complesse e articolate del pluralismo culturale attiene alla dimensione religiosa e alla diffusa presenza di una pluralità di comunità religiose portatrici di tradizioni e norme che pretendono di affermarsi anche nell’arena civile.
Questa circostanza richiama la nozione di “pluralismo giuridico” o “legal pluralism” che, secondo una certa lettura antropologica e sociologica, caratterizzerebbe gli scenari degli ordinamenti costituzionali aperti alla pluralità delle culture e delle religioni e dunque attraversati da norme non riconducibili direttamente all’ordinamento statale. Nelle società tradizionali prive di una struttura organizzativa che potesse assomigliare allo Stato, le regole di comportamento potevano avere diverse origini: le tradizioni, la religione, le convenzioni politiche, la giurisdizione. Gli antropologi del diritto, a questo riguardo, hanno formulato il concetto di “pluralismo giuridico” per rappresentare un dato della realtà di fatto, vale a dire la convivenza di norme, sanzioni e organi di giustizia non riconducibili formalmente all’ordinamento statale e pur tuttavia in grado di agire all’interno della medesima arena sociale.
Con lo sviluppo di quei fenomeni scaturiti dalla crisi dello Stato nazione, dalla globalizzazione e dall’intensificarsi dei flussi migratori, il concetto di pluralismo giuridico è sembrato idoneo a rappresentare i nuovi scenari: su scala interna agli Stati, la richiesta di antiche e nuove minoranze di ottenere il riconoscimento non solo della pari dignità con la componente maggioritaria della comunità; ma anche l’affermazione di regole appartenenti alla propria tradizione o religione per disciplinare almeno in parte i fatti della propria esistenza. Su scala esterna agli Stati, principalmente in relazione ai nuovi fenomeni economici, si sono affermati modelli di comportamento che travalicano i tradizionali confini degli Stati per collocarsi in una dimensione transnazionale.
L’ordinamento giuridico statale, dunque, vede la propria produzione normativa integrata da norme che sfuggono al proprio controllo e che al tempo stesso trovano effettiva applicazione nelle relazioni tra i consociati. Si tratta di una pluralità di norme che tuttavia non sempre presentano il carattere proprio delle norme giuridiche. In effetti, con riferimento alle società occidentali, appare più opportuno usare l’espressione “pluralismo normativo” (2), piuttosto che “pluralismo giuridico” (3), che non aiuta a distinguere quelle norme che di giuridico hanno ben poco.
Le società multiculturali rappresentano un terreno fertile per verificare il grado di pluralismo giuridico o normativo che trova espressione sia ufficialmente che non. In altre parole, si tratta di capire se l’ordinamento giuridico primario ed esclusivo, che governa i comportamenti di tutti i soggetti presenti sul territorio dello Stato, riconosce, ammette, prevede, tollera che taluni di quei soggetti – individualmente o collettivamente – osservino norme di derivazione non statale. Diversamente, l’indagine empirica potrebbe evidenziate la presenza di corpi normativi non ufficiali che gli appartenenti a determinate comunità (in genere minoritarie, con attributi culturali e religiosi fortemente identitari) osservano anche in violazione delle norme giuridiche vigenti.
Il panorama delle diverse interpretazioni della categoria del “pluralismo giuridico” offre ulteriori spunti. L’idea di base, come si è già accennato, è che il fenomeno giuridico in senso lato non si esaurisce nelle fonti ufficiali di produzione del diritto poste sotto il controllo dello Stato, ma comprende anche quella galassia di norme giuridiche e non giuridiche che effettivamente governano il comportamento degli individui.
Tra le declinazioni del pluralismo giuridico che meritano di essere segnalate perché ben si intersecano con il tema del pluralismo culturale e religioso, sono le letture offerte da alcuni autori.
Griffiths suggerisce una distinzione che fa leva sul grado di apertura dell’ordinamento statale verso gli altri sistemi normativi presenti e operanti nel suo territorio: debole sarebbe pertanto quel pluralismo giuridico che l’ordinamento statale domina attraverso meccanismi di raccordo e riconoscimento che riconducano ad unità il sistema normativo, sempre sotto l’egemonia dello Stato. Sarebbe invece forte quel pluralismo giuridico che non soffre del dominio di un ordinamento – quello statale – sugli altri. Non tutte le norme giuridiche, dunque, sono riconducibili allo Stato; sicché, all’interno del medesimo territorio operano sistemi normativi diversi, senza che siano previsti meccanismi per la reductio ad unum, e le istituzioni giuridiche statali non hanno il monopolio delle funzioni connesse alla produzione e applicazione delle norme (4). Fa leva sull’idea della pluralità di centri produttivi di regole all’interno della medesima collettività sociale, la riformulazione del pluralismo giuridico in termini di "legal polycentricity", inizialmente consolidatasi nella scienza giuridica scandinava (5).
Vanderlinden e Touraine prospettano la distinzione tra un pluralismo giuridico soggettivo e un pluralismo giuridico oggettivo.
Quest’ultimo sarebbe incentrato sul ruolo del “gruppo” sociale di appartenenza: quali funzioni assolve sul piano istituzionale, processuale, normativo; in che rapporto stanno le norme prodotte dai gruppi con l’ordinamento giuridico statale; se esistono, e in che misura, margini di riconoscimento della insistenza sul medesimo spazio territoriale di tanti ordinamenti giuridici quanti sono i gruppi sociali esistenti.
Il pluralismo soggettivo, invece, guarda all’individuo. Muovendo da un dato della realtà contemporanea che vede gli individui appartenere, con un grado di integrazione variabile, a una pluralità di gruppi e comunità, il pluralismo soggettivo intende riflettere la scelta che ciascun individuo può fare circa il foro o il sistema normativo che ritiene più confacente a disciplinare un certo segmento della propria vita (forum shopping). Ogni individuo, dunque, per effetto della appartenenza a una pluralità di realtà sociali, sperimenta la frammentazione della sua identità. Deve orientarsi tra sistemi di norme tra loro concorrenti – seppure non sempre su di un piano equi-ordinato – e non di rado confliggenti. In questa prospettiva, dunque, l’individuo soggetto a diverse fonti normative affronta il dilemma fondamentale della scelta e della mediazione tra norme, procedure, istituzioni dei diversi sistemi normativi cui esso fa riferimento. Vanderlinden definisce il pluralismo giuridico come «l’existence , au sein d’une société détérminee, de mécanismes juridiques différents s’appliquant à des situations identiques» (6).
La questione, dunque, che si pone è come sia possibile comporre questo puzzle. Difficoltà che scaturisce soprattutto dalla diversa natura e provenienza delle norme cui l’individuo fa riferimento.
Se guardiamo, da questa prospettiva, alle società multiculturali che abitano gli Stati occidentali contemporanei, dovremmo fare una distinzione tra quelle comunità etniche o religiose radicate nel territorio e con consolidate tradizioni, seppure minoritarie, e quei gruppi di stranieri immigrati in Europa a fasi alterne, i quali fanno riferimento ad una pluralità di norme di origine etnica e religiosa non riconosciute ufficialmente, a norme di diritto positivo del proprio paese di origine, alle norme internazionali riconosciute dagli Stati europei in tema di stranieri , profughi, rifugiati richiedenti asilo.
Mentre con riferimento ai primi possiamo parlare di veri e propri sistemi normativi incardinati in quella particolare comunità; nel secondo caso ciò che rileva non sono i sistemi normativi, ma gli individui che attingono norme di comportamento da una pluralità di sistemi normativi. Sistemi di natura eterogenea e il più delle volte estranei al controllo delle istituzioni dell’ordinamento vigente.
Dal punto di vista antropologico e sociologico, la ricostruzione del mosaico di norme attraverso la collocazione coerente dei diversi tasselli appare certamente suggestiva (7).
La prospettiva che qui interessa brevemente considerare si riferisce al caso delle comunità religiose stanziate in territori estranei alla loro tradizione; in particolare l’attenzione è rivolta al problema della mediazione e composizione tra le norme dell’ordinamento statale e quelle di riferimento delle comunità, sull’assunto che il quadro normativo di riferimento di quelle comunità religiose sia composito, ma non frammentario. Nel caso dell’Islam – ad esempio - ci troviamo di fronte a un sistema normativo complesso e articolato che travalica la dimensione spirituale dei fedeli e che invoca una piena legittimazione e effettività nello stesso spazio pubblico sul quale domina l’ordinamento statale.
Il tema presenta un duplice aspetto: la compatibilità del sistema normativo particolare con quello generale (e non viceversa) e gli strumenti giuridici idonei a garantire un corretta convivenza tra il sistema minore e quello maggiore (8).
Il contesto cui si fa riferimento è da ricondurre al cd “pluralismo giuridico in senso debole” (9), in quanto le forme di riconoscimento indiretto o implicito di ordinamenti minori si fondano sulla riaffermazione del primato dell’ordinamento statale. D’altra parte, discutere di “riconoscimento” significa porre la premessa della supremazia del sistema che riconosce rispetto al sistema che è riconosciuto. In gioco sono gli effetti giuridici di tali sistemi. Le norme giuridiche dei sistemi minori sono prive di efficacia giuridica fintanto che non vengono introdotte nel sistema maggiore per effetto di un riconoscimento.
Bene sottolinea Toniatti che cosa diversa sarebbe «l’ipotesi di accertamento (non, dunque, di riconoscimento) dell’effettività di un pluralismo giuridico in senso forte, la coesistenza delle diverse tradizioni giuridiche corrisponderebbe invece a una mera circostanza di fatto (ovvero, in talune situazioni eventuali o marginali, ad un fatto normativo del tutto autonomo e dunque a un fenomeno spontaneo, al di fuori di un ordine giuridico unificante…» (10).
L’applicazione della shari’a in alcuni ordinamenti occidentali, colloca i “due” sistemi in posizioni gerarchicamente e realisticamente differenziate: il sistema di diritto islamico è estraneo all’ordinamento giuridico statale, rispetto ad esso è privo di validità. Assume una posizione subordinata all’atto del riconoscimento, con modalità e strumenti, da parte dell’ordinamento statale; intanto questi ne riconosce e autorizza l’efficacia, in quanto compatibile con il proprio sistema normativo e valoriale. Il riconoscimento, tuttavia, può spingersi anche oltre la mera compatibilità, ammettendo deroghe ed eccezioni alla disciplina vigente sulla base di motivazioni pur sempre riconducibili al quadro valoriale di riferimento.
In definitiva, le considerazioni che succintamente possono essere svolte sono necessariamente legate al quadro di riferimento. Non abbiamo a che fare con un pluralismo giuridico paritario o tendenzialmente tale quale quello che caratterizza le società dotate di propri sistemi giuridici tradizionali e originari sui quali si è innestato un ordinamento statale di diversa matrice (il riferimento è principalmente ai paesi africani colonizzati da alcuni Stati nazionali occidentali, o ad alcune esperienze dell’America Latina).
Il pluralismo giuridico preso in esame è relativo; relativo all’ordinamento giuridico statale ospite delle comunità minoritarie che aspirano a osservare norme giuridiche alternative.
Dunque, l’applicazione della shari’a costituisce un “fatto” giuridicamente significativo in quegli ordinamenti dove le minoranze islamiche ne chiedono l’applicazione o ne fanno un uso informale.
In estrema sintesi, la shari’a è applicata e produce effetti come fatto normativo che l’ordinamento indirettamente riconosce idoneo a regolare i rapporti tra privati (in virtù delle disposizioni sull’arbitrato, ove lascino la porta aperta al diritto religioso, o in base alla legislazione in materia di diritto internazionale privato); oppure la si utilizza come chiave di lettura e interpretazione del diritto vigente ai fini di una composizione ragionevole (reasonable accommodation) con le istanze di matrice religiosa in sede di giurisdizione civile; ovvero, essa agisce come mera prassi legale, priva di forma e di riconoscimento, diffusa e praticata tra le comunità islamiche nelle questioni relative allo statuto della persona, al diritto di famiglia e successorio.
Più in generale, si registra diffusamente quel fenomeno di legal polycentricity (11), una pluralità complessa di fonti del diritto extra-legali, non statali, dovuta alla presenza nello Stato di gruppi che esercitano variegate forme di autonomia normativa e istituzionale. La varietà di queste forme si deve principalmente al fatto che sono prive di un riconoscimento e inquadramento statale e dunque non sono tipizzate, non corrispondono a modelli preordinati. Tuttavia, le norme che ne derivano sono osservate all’interno dei gruppi, costituiscono sistemi normativi minori (12) e non di rado entrano in connessione con le norme dell’ordinamento statale dando luogo a fenomeni di carattere inter-giuridico o a forme di ibridazione. Il riferimento è a quel fenomeno proprio delle società complesse in cui gli individui partecipano a differenti spazi giuridici, agendo simultaneamente su differenti livelli e in base a diversi canoni di interpretazione. Gli stessi spazi giuridici sono interconnessi e interagiscono tra loro (13). Gli individui, in relazione ai gruppi di appartenenza, osservano norme di diversa provenienza, ufficiali e non ufficiali, giuridiche e meta-giuridiche; salta il sistema gerarchico che presiede le relazioni tra norme e lo stesso criterio di competenza non appare univoco. Il fenomeno descritto è stato definito, già alla fine degli anni ’80 dello scorso secolo, in termini di “interlaw” e “interlegality” volendo con ciò rimarcare il rilievo che assume non tanto l’identificazione dei diversi sistemi normativi di riferimento degli individui di una società complessa, quanto piuttosto le relazioni che si determinano tra sistemi diversi e rispettive norme che, nei medesimi spazi giuridici, si intersecano e interconnettono (14) a causa dell’agire degli individui.
D’altra parte, l’atteggiamento di chi vorrebbe imporre “one law for all”, di chi sostiene cioè il primato della territorialità del diritto sul riconoscimento di uno statuto giuridico della persona oltre i confini degli Stati, predilige la semplificazione – se non addirittura la banalizzazione - della complessità odierna e persegue forme di tolleranza in luogo di pratiche di dialogo, l’isolamento dei “diversi” piuttosto che la ricerca di una relazione con essi.
1. Si veda G. Dalla Torre, Libertà religiosa e secolarismo, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, n. 10, 2018; sembra oramai superato il tempo in cui la religione di Stato concorreva a determinare l’identità nazionale. I riferimenti che ancor oggi è possibile rinvenire in alcune costituzioni europee a una determinata confessione religiosa o, comunque, alla sfera spirituale sembrano non incrinare il pluralismo religioso e il riconoscimento - formale o informale – delle religioni “altre” rispetto alla tradizione religiosa più diffusa. Per una ricognizione delle teorie relative ai rapporti tra Stato e confessioni religiose, sia consentito rinviare a A. Rinella, The Irish Constitutional Preamble In a Comparative Perspective, in G.F. Ferrari, J. O’Dowd (eds.) 75 Years of the Constitution of Ireland. An Irish‐Italian Dialogue, Dublin, Clarus Press, 2014, pp. 119-132 e alla bibliografia ivi citata.
2. A. Facchi, Prospettive attuali del pluralismo normativo, in «Jura Gentium», (rivista telematica), http://www.juragentium.org/topics/rights/it/facchi.htm, 2005; Cfr. anche M.C. Locchi, Pluralismo giuridico e diritto comparato nelle società occidentali di immigrazione , in S. Bagni (a cura di), Lo stato interculturale: una nuova eutopia?, Bologna, 2017, amsacta.unibo.it/5488/#, 99-119 ; M. C. Locchi, Legal pluralism in multicultural societies: new perspectives for comparative constitutional law, in A. Alabrian, O. Moroteau (sous la direction de) Le droit comparé, Aix-en-Provence, Press Universitaire d’Aix-Marseille, 2016, pp. 139-148; A. Facchi, Customary and Religious Law: Current Perspectives in Legal Pluralism, in «Jura Gentium», 2007; R. McDonald, L’hypothése du pluralime juridique dans le sociétés démocratiques avancées, in Revue de droit de l’Université de Sherbrooke, 33, 2002-2003, 141 ss.; R. Motta, Approccio classico e approccio critico al pluralismo giuridico, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2, 2004, 345-362; C. Faralli, Vicende del pluralismo giuridico. Tra teoria del diritto, antropologia e sociologia, in A. Facchi, M.P. Mittica (a cura di), Concetti e norme. Teoria e ricerche di antropologia giuridica, Milano, Franco Angeli, 2000, 89-102; F. Puppo, Il problema del pluralismo giuridico, in «Società e diritti», rivista elettronica, II, n. 4, 2017, pp. 105-130; Scarciglia R., Menski W. (eds.), Normative pluralism and religious diversity: challenges and methodological approaches, Padova,Cedam, 2018.
3. S. Falk Moore, Law and social change: the semi-autonomous social field as an appropriate subject of study, in «Law and Society Review», 1973, pp. 719-746; B. De Sousa Santos, Law: A Map of Misreading. Toward a Postmodern Conception of Law, in «Journal of Law and Society», 1987, 14, pp. 279-302; S. E. Merry, Legal pluralism, in «Law and Society Review», 1988, 22: pp. 869-901; A. Starr, J.F. Collier (eds.), History and Power in the Study of Law: New Directions in Legal Anthropology, New York, Cornell U.P., 1989; G. Teubner, The Two faces of Janus: Rethinking Legal Pluralism, in «Cardozo Law Review», 1993, 5: pp. 1443 ss.; B.T. Tamanaha, The Folly of the Scientific Concept of Legal Pluralism, «Journal of Law and Society», 20, 1993, pp. 192-217.
4. J. Griffith, What is Legal Pluralism? In «Journal of Legal Pluralism», n. 24, 1986, pp. 1-55.
5. H. Petersen, H. Zahle (eds.), Legal Policentricity: Consequences of Pluralism in Law, Darthmouth, Aldershot, 1995.
6. J. Vanderlinden, Le pluralisme juridique – Essay de synthése, in Gilissen J. (ed), Le pluralisme juridique, Bruylant, Bruxelles, 1972, p. 19; si vedano anche dello stesso A.: Les pluralismes juridiques, Bruxelles, Bruylant, 2013; Return to Legal Pluralism: Twenty Years Later, in «Journal of Legal Pluralism and Unofficial Law», 1989. Cfr. inoltre A. Touraine, Libertà, uguaglianza, diversità, Milano, Il Saggiatore, 1998.
7. Cfr. tra gli altri, P.M. Blau, Il paradosso del multiculturalismo, in «Rassegna italiana di sociologia», 1, 1995, pp. 53-63; M. Chiba, Other Phases of Legal Pluralism in the Contemporary World, in «Ratio Juris», 3, 1998, pp. 228-246; A. Starr, J.F. Collier (eds.), History and Power in the Study of Law: New Directions in Legal Anthropology, New York, Cornell U.P., 1989; B.T. Tamanaha, The Folly of the Scientific Concept of Legal Pluralism, in «Journal of Law and Society», 20, 1993, pp. 192-217; G. Teubner, The Two faces of Janus: Rethinking Legal Pluralism, in «Cardozo Law Review», 5, 1993, pp. 1443 ss.
8. Esprime critiche verso la categoria del “legal pluralism”, R. Sandberg, The Failure of Legal Pluralism, in «Ecclesiastical Law Journal», 18, n. 2, 2016, pp. 137-157; dello stesso A. si veda: The Impossible Compromise, in R. Sandberg (ed.), Religion and Legal Pluralism, Ashgate, Farnham, 2015, pp. 1-20.
9. Secondo la definizione di J. Griffiths, What is Legal Pluralism?, In «Journal of Legal Pluralism», n. 24, 1986, pp. 1-55, ripresa da R. Toniatti, La razionalizzazione del «pluralismo giuridico debole»: le prospettive di un nuovo modello giuridico e costituzionale nell’esperienza africana, in M. Calamo Specchia (a cura di), Le trasformazioni costituzionali del secondo millennio, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2016
10. R. Toniatti, La razionalizzazione del «pluralismo giuridico debole»: le prospettive di un nuovo modello giuridico e costituzionale nell’esperienza africana, cit., p.
11. Cfr. H Pewtersen, H. Zahle (eds), Legal Polycentricity. Consequences of Pluralism in Law, Dartmouth, Aldershot, 1995.
12. Si veda sull’argomento M. Malik, Minority Legal Orders in the UK. Pluralism and the Law, London, British Academy, 2012.
13. B.S. Santos, Law: A Map of Misreading. Toward a Postmodern Conception of Law, in «Journal af Law and Society», XIV, n. 3, 1987, pp. 279-302; Id., Toward a New Legal Common Sense. Law, Globalization and Emancipation, Cambridge, Cambridge University Press, 2002.
14. B.S. Santos, Law: A Map of Misreading. Toward a Postmodern Conception of Law, cit., p. 288, che utilizza espressioni come interlegality e interlaw. P. Parolari suggerisce che la traduzione in italiano da preferire per “intelegality” sia “intergiuridicità”, piuttosto che “interlegalità”. Cfr P. Parolari, Legal Policentricity, intergiuridicità e dimensioni intersistemiche dell’interpretazione giudiziale. Riflessioni, in «DPCE online», 3, 2019, pp. 2109-2119, in particolare p. 2110, nota 3.