Ricercatore in Diritto pubblico comparato, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Trento.
1. Quale “pluralismo sostenibile” nel biodiritto? Le corti come mediatrici tra tensione assiologica e complessità scientifica
Il concetto di “pluralismo sostenibile” rappresenta senz’altro uno dei filoni di riflessione più prolifici di Roberto Toniatti (penso anche solo ai risultati del progetto Jurisdictions and Pluralism, 2013-2016, qui il sito: http://www.jupls.eu/; e, in particolare, alla riflessione svolta sul punto nell’ambito della tutela delle minoranze linguistiche, a partire dalla “storica” classificazione dei diversi approcci costituzionali al tema in R. Toniatti, Minoranze e minoranze protette: modelli costituzionali comparati, in T. Bonazzi, M. Dunne (a cura di), Cittadinanza e diritti nelle società multiculturali, Bologna, 1994, 279 ss.). In questo breve scritto, che vuole costituire un primo nucleo di una futura ricerca comparata, ci si concentrerà sull’incrocio tra sostenibilità del pluralismo emergente dalla società nelle sue molteplici espressioni e disciplina delle scienze della vita, nel tentativo di proporre una prima sistemazione – una “bozza” di modellistica – del ruolo svolto dal formante giurisdizionale nel definire l’an e il quomodo di tale interazione (ha già proposto una classificazione generale in tale ambito L. Busatta, Per la costruzione di un pluralismo sostenibile nel rapporto tra diritto e scienze della vita, in BioLaw Journal-Rivista di BioDiritto, 1, 2016, 9-38).
Credo sia quasi tautologico affermare che proprio l’ambito del biodiritto rappresenti probabilmente il contesto più paradigmatico all’interno del quale testare la capacità di metabolizzazione del pluralismo sociale, etico, ma anche scientifico e filosofico, che le dinamiche sociale e la loro costante evoluzione esprimono da parte di un determinato ordinamento giuridico.
Coglierò questa graditissima occasione, che mi consente di ripensare a una serie di occasioni nelle quali Roberto Toniatti ha dimostrato un sincero e dialettico interesse per il mio percorso di ricerca (ricordo ancora le sue belle parole, su un autobus che ci portava verso la sede greca della European Public Law Organisation nel 2009, o forse era il 2008?), dopo aver letto uno dei miei primi articoli “maturi” dedicato alla teorizzazione del principio di ragionevolezza scientifica delle leggi), per porre alcune basi teoriche e metodologiche per futuri percorsi di ricerca, limitandomi in questa sede a un primo tratteggio di quella che può essere descritta come mappa concettuale del ruolo delle corti, in particolare quelle dotate di funzioni di controllo di costituzionalità, nel definire la giusta dose di pluralismo che un ordinamento costituzionale può metabolizzare.
Come reagiscono le corti nel momento in cui sono chiamate a decidere casi, o a valutare la legittimità di leggi, che esprimono un contenuto science-based (sul tema, la dottrina è ormai ampia, da ultimo senz’altro G. Ragone, Eine empirische Wende? La Corte costituzionale e le sfide della complessità tecnico-scientifica, Giappichelli, 2020; D. Servetti, Riserva di scienza e tutela della salute. L’incidenza delle valutazioni tecnico-scientifiche di ambito sanitario sulle attività legislativa e giurisdizionale, Pacini Editore, 2019; A. Iannuzzi, Il diritto capovolto. Regolazione a contenuto tecnico-scientifico e Costituzione, Editoriale Scientifica, 2018)? E, più nello specifico della declinazione “assiologica” del pluralismo, se e come la natura tecnico-scientifica dell’oggetto influenza lo scrutinio operato nei confronti delle scelte politico-discrezionali operate (o, come accaduto in riferimento al cd. caso Cappato, non operate) dal legislatore?
In termini generali, è possibile ipotizzare che le corti stiano sempre più assumendo la funzione di “mediatore” tra il pluralismo assiologico emergente dalla società e la complessità scientifica che deriva dagli incessanti progressi a livello biomedico. Restano tuttavia da analizzare i diversi approcci che le corti possono adottare, nel riconoscere e immettere nell’ordine giuridico l’intreccio tra pluralismo e complessità. In prima approssimazione, il criterio essenziale è costituito dall’analisi della interazione tra dimensione scientifica e dimensione assiologica all’interno della giustizia costituzionale, al fine di verificarne la sostenibilità in termini costituzionali.
È possibile operare una prima macro-distinzione tra i casi in cui la scienza integra la dimensione assiologica, divenendo essa stessa uno strumento per regolare/metabolizzare il pluralismo assiologico; e casi in cui, al contrario, la scienza risulta assorbita nella e dalla dimensione assiologica, rappresentando in questo secondo gruppo di casi il “mero” contesto nel quale il pluralismo trova espressione. Alcuni esempi aiuteranno a chiarire il contenuto e la portata di tale classificazione.
2. Una prima proposta di classificazione: l’integrazione tra dimensione scientifica e dimensione assiologica…
All’interno della prima categoria, possiamo identificare l’ipotesi nella quale il riferimento alla dimensione scientifica viene a rappresentare uno strumento dell’interpretazione costituzionale. Paradigmatica in tal senso è la giurisprudenza della Corte Suprema irlandese che ha valutato l’applicabilità dell’art. 40, terzo comma, della Costituzione irlandese, che tutela il “right to life of the unborn”, anche all’embrione in vitro. In questo caso, la Corte rinvia esplicitamente al dato scientifico al fine di determinare il concreto ambito applicativo della disposizione. Riconoscendo l’assenza di un consensus all’interno della comunità scientifica rispetto alla determinazione del momento dal quale la vita abbia inizio, i giudici irlandesi compiono una autonoma selezione del parametro scientifico sulla base del quale tracciare i confini della garanzia costituzionale. In questo modo, la selezione del dato scientifico giuridicamente rilevante entra nell’attività ermeneutica della Corte, contribuendo in modo decisivo a delimitarne l’ambito al momento dell’impianto dell’embrione nell’utero della donna, in quanto è solo da questa fase che si instaura una relazione speciale tra l’embrione e la madre. Il dato scientifico, quindi, contribuisce alla determinazione del contenuto giuridicamente rilevante della disposizione costituzionale, sulla base del quale avviene lo scrutinio di legittimità delle scelte politiche operate dal legislatore.
Un caso diverso, sempre riconducibile al “tipo” della integrazione tra dimensione scientifica e dimensione assiologica, è quello rappresentato dall’utilizzo del dato scientifico quale parametro diretto di valutazione delle scelte politiche effettuate in contesti science-related. All’interno di questa categoria, rientrano quei casi nei quali le corti costituzionali adottano una posizione di self-restraint, ritenendo di non poter sostituire le valutazioni svolte dal Parlamento con una autonoma valutazione dei diversi interessi in gioco e applicando una presunzione di legittimità delle scelte operate, che viene rafforzata dal fatto che il legislatore si sia basato sulla verifica dello stato delle conoscenze scientifiche esistenti in un determinato ambito o che abbia previsto meccanismi normativi e istituzionali finalizzati ad adattare i contenuti della legge al mutare della realtà scientifica (tipico in tal senso è la giurisprudenza de Conseil Constitutionnel francese, ad esempio in casi relativi alla donazione da cordone ombelicale, sentenza n. 2012-249 QPC, o alla vaccinazione obbligatoria, sentenza n. 2015-458 QPC).
In tale categoria può essere ricompresa anche l’ormai consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale italiana in materia di ragionevolezza scientifica delle leggi science-related, attraverso la quale la Corte ha come noto individuato l’esistenza di “limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica”, sulla cui base la Corte, applicandolo nel senso di una integrazione di parametri costituzionali tradizionali (diritto alla salute, ragionevolezza), ha dichiarato l’incostituzionalità di disposizioni che limitavano irragionevolmente l’autonomia decisionale dei professionisti coinvolti, con un diretto impatto sulla protezione dei diritti delle persone coinvolte (ad es. la sentenza n. 151 del 2009 in materia di procreazione medicalmente assistita). È pur vero che, all’interno di tale filone, quando il livello di complessità scientifica e di sensibilità etica della questione risulta particolarmente elevato, il rilievo della dimensione assiologica – da declinare al plurale alla luce delle diverse e spesso contrapposte posizioni su un determinato tema “eticamente sensibile” – tende a prevalere, con l’effetto di riconoscere un margine pressoché assoluto alla discrezionalità del legislatore. Un esempio tipico in tale ultimo senso è rappresentato dal caso del divieto di utilizzo di embrioni umani a scopo di ricerca scientifica, rispetto al quale la Corte costituzionale ha affermato che la determinazione del verso del bilanciamento tra libertà di ricerca e tutela della vita dell’embrione spetta in via esclusiva al legislatore, che agisce come quale interprete della volontà della collettività ed è chiamato a tradurre, sul piano normativo, il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale (sentenza n. 84 del 2016).
3. …e l’assimilazione della dimensione scientifica in quella assiologica: approcci astensionista e collaborativo
In riferimento alla seconda categoria di casi, la natura scientifica della questione rappresenta il “mero” contesto nel quale trova espressione il pluralismo assiologico, venendo pertanto assorbita da quest’ultima in termini di rilevanza giuridica. La dimensione scientifica, quindi, svolge una funzione di espansione e crescita della densità assiologica delle questioni affrontate, dal momento che le innovazioni tecnico-scientifiche mettono a disposizione nuovi strumenti di realizzazione ed espressione per le domande di riconoscimento di tutela che emergono dalla società. In questi casi, il rilievo all’interno del giudizio di costituzionalità tende a diminuire, lasciando spazio alla centralità della dimensione assiologica. Tendenzialmente, la natura eticamente sensibile delle questioni non deriva dall’esistenza di un quadro scientifico incerto o complesso, aperto quindi a interpretazioni diverse, ma riguarda esclusivamente l’impatto sociale e giuridico prodotto dalle richieste – assiologicamente connotate – che emergono dalla società. Due ambiti paradigmatici in tal senso sono rappresentati dalla disciplina delle fasi finali della vita e della gestazione per altri, rispetto ai quali la determinazione della “giusta” dose di pluralismo da immettere nell’ordinamento è riservata in larga parte alle valutazioni discrezionali operate dal legislatore.
Concentrandosi sul primo caso – il fine vita – si possono distinguere tendenzialmente due approcci assunti tendenzialmente dalle corti. Il primo approccio, che potremmo definire “astensionista”, deriva dalla elevata densità assiologica delle questioni – in particolare nel caso di decisioni relative all’assistenza al suicidio – che conducono le corti a riservare al legislatore il ruolo di modificare l’assetto legislativo vigente, anche nel caso in cui si riconosca l’esigenza di immettere nel sistema normativo una dose più elevata di pluralismo assiologico, riconoscendo ad esempio uno spazio di legittimità a forme di assistenza al suicidio. In tali casi (in tal senso risulta paradigmatico l’ordinamento inglese, ad es. R (on the application of Nicklinson and another) (Appellants) v Ministry of Justice (Respondent) [2014] UKSC 38, al quale ci si riferisce), le corti tendono a riconoscere che sarebbe istituzionalmente inopportuno dichiarare l’incompatibilità del divieto, in quanto spetterebbe al legislatore la funzione di valutare l’opportunità di una modifica dell’assetto normativo esistente.
Il secondo approccio, qualificabile come “collaborativo”, parte dalla comune premessa della centralità del Parlamento nel definire, ed eventualmente modificare, il bilanciamento tra i vari diritti e interessi rilevanti. Ma da ciò non deriva un atteggiamento necessariamente passivo – o deferenziale – alla luce del particolare rilievo dei diritti che entrano in gioco, in particolare il diritto all’autodeterminazione e la dignità della persona malata. Al contrario, in questi casi le corti svolgono uno scrutinio nel merito delle scelte legislative, spesso giungendo a riconoscere l’esigenza di aprire il tessuto normativo fino ad affermare la legittimità di ipotesi specifiche di assistenza al suicidio (Canada, Italia, Germania e da ultimo Austria). Centrale nelle argomentazioni delle corti risulta il riconoscimento di un diritto al libero sviluppo della personalità, connesso al principio di dignità (cfr. in particolare il caso tedesco), o alla autodeterminazione (Corte Suprema canadese), che devono trovare spazio anche nelle fasi finali della vita della persona, la determinazione delle quali non può che trovare declinazione e concretizzazione al plurale e alla luce dell’identità “morale” di ognuno.
Al fine di comprendere, da un lato, come la dimensione tecnico-scientifica non rappresenti altro che il contesto di esercizio della libertà personale alla fine della vita, ma non svolge una funzione diretta nel definire la legittimità del quadro normativo in termini di rispetto del pluralismo individuale e sociale, e, dall’altro, che la dimensione assiologica individuale risulta invece determinante in tal senso, occorre richiamare un passo della sentenza del Bundesverfassungsgericht nella sentenza del 26 febbraio 2020. In tale sentenza, il Tribunale afferma che “Elemento determinante è la volontà del suo titolare (Maßgeblich ist der Wille des Grundrechtsträgers), che si sottrae a qualsiasi apprezzamento svolto alla stregua di valori generalmente accettati, di precetti religiosi, di modelli socialmente acquisiti sulla vita e sulla morte ovvero speculazioni del puro intelletto” (fonte: www.biodiritto.org).
Rilevante in questa prospettiva è anche la ormai nota sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale italiana, nella quale si conferma il fatto che, nell’ambito delle scelte del fine vita, le considerazioni relative alla dimensione assiologica prevalgono tendenzialmente su quelle di ordine medico-scientifico; e, allo stesso tempo, una volta affermato sul piano assiologico che il fondamentale rilievo del valore della vita non esclude l’obbligo di rispettare la decisione del malato di porre fine alla propria esistenza, centrale diviene il riferimento al diritto alla scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, quale espressione della libertà di autodeterminazione del malato, che viene irragionevolmente limitato dall’imposizione legislativa di un’unica modalità per congedarsi dalla vita.
4. Integrazione o assimilazione? La via possibile di un metodo aperto e una epistemologia condivisa tra diritto e altre scienze
Evidentemente, si tratta di una prima classificazione, decisamente grezza, la quale però può rappresentare un nucleo iniziale per una futura riflessione relativa all’intreccio tra pluralismo assiologico e dimensione biogiuridica, la quale rappresenta probabilmente uno dei contesti più probanti per definire progressivamente la giusta dose di differenziazione etica, religiosa, culturale, filosofica che risulti sostenibile all’interno di una struttura costituzionale fondata sulla centralità della persona. La distinzione tra casi di “integrazione”, nei quali la dimensione scientifica esprime e conserva un rilievo proprio e autonomo rispetto alla funzione di emersione del pluralismo assiologico, e casi di “assimilazione”, nei quali al contrario la forza normativa della dimensione scientifica viene quasi totalmente assorbita da quella assiologica e viene a costituire il “mero” ambito di espressione di quest’ultima, potrebbe rappresentare un utile punto di partenza per definire una griglia di comparazione all’interno della quale evidentemente sono destinate a giocare un ruolo fondamentale variabili quali il tipo di controllo svolto dalle corti, la natura del processo costituzionale, il tipo di decisioni e di parametri utilizzati.
Nel condurla, si tenterà di applicare altri due elementi che caratterizzano, mi pare, soprattutto le ultime fasi del non concluso percorso intellettuale di Roberto Toniatti.
Da un lato, l’apertura a ordinamenti e realtà culturali ulteriori a quelle riferibili alla tradizione della western legal tradition, che Toniatti identifica in particolare nella sfera del cosiddetto Global South, unitamente alla valorizzazione di una “concezione aperta, plurale ed eterodossa del metodo comparato nel diritto costituzionale” (si rinviano alle stimolanti riflessioni svolte in R. Toniatti, Per una concezione aperta, plurale ed eterodossa del metodo comparato nel diritto costituzionale, in DPCE Online, 1, 2020, 831-838), nella consapevolezza dell’esigenza richiamata da Toniatti di affinare profili metodologici appropriati “(…) la vorando sul campo, confrontando risultati ed e investendo soprattutto nelle verifiche empiriche a posteriori”. Nello schema tratteggiato, l’esperienza e il ruolo svolto ad esempio dalle corti dell’America Latina potrà rappresentare un ricco e rilevante filone di analisi al fine di identificare e sistematizzare eventuali “strade” alternative di metabolizzazione del pluralismo etico e sociale attraverso il formante (la fonte?) giurisprudenziale. Penso ad esempio alla funzione determinante svolta dai tribunali ordinari in Argentina nel ricavare attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della legislazione esistente forme di riconoscimento giudiziale di accordi di gestazione per altri di natura solidaristica, secondo una dinamica che senz’altro risulta influenzata tanto dal modello di controllo costituzionale e dalla concezione del ruolo del giudice all’interno di una società complessa e plurale, quanto da variabili di natura sociale, culturale e comunque non formalmente giuridiche.
E questo ultimo cenno alla dimensione extra-giuridica, almeno secondo la concezione tradizionale di diritto, mi porta al secondo elemento, che è relativo all’opportunità di declinare in senso multidisciplinare, aperto a scienze diverse da quelle giuridiche, il metodo utilizzato nello studio del fenomeno giuridico, secondo una logica non di sostituzione ma di integrazione di quanto già acquisito dalla ortodossia metodologica. Nell’articolo citato per ultimo, Toniatti auspica l’attivazione di percorsi formativi aperti alle scienze sociali, in particolare a livello di scuole di dottorato. Mi pare un impulso fondamentale, che mi sentirei di estendere, nella prospettiva del biodiritto ma non solo (si pensi ad esempio alla pervasività dell’impatto che l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale può produrre – sta producendo – non solo sull’esercizio concreto, ma sulla stessa natura e “posto” nell’ordine costituzionale delle funzioni pubbliche tradizionali e sulla dimensione dei diritti costituzionali), anche alle scienze “dure”. Del resto, l’apertura alle cognizioni di natura tecnico-scientifica e alle opinioni degli esperti caratterizza l’attività di molte corti dotate di funzioni di controllo di costituzionalità (penso al caso paradigmatico della Germania, ma non solo; interessante è la prassi della Corte Interamericana, in particolare nel caso Artavia Murillo c. Costa Rica) e recentemente anche la Corte costituzionale italiana ha modificato in tal senso le Norme Integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, aprendo alla possibilità di intervento di amici curiae e di esperti delle materie oggetto delle questioni di legittimità. La fisiologica contaminazione tra metodi e scienze, nel rispetto dell’esigenza di conservare le reciproche specificità in termini di funzioni tipiche (in particolare delle funzioni tipiche di un ordinamento giuridico), rappresenta una precondizione necessaria per una ricerca come quella che qui ci si propone. In tal senso, si richiama un approccio che è tipico dei Science and Technology Studies e che si fonda sull’idea di co-produzione tra diritto e altre scienze, destinata a svilupparsi non tanto nel momento generativo della norma quanto piuttosto in quello preliminare della costruzione di un comune sostrato concettuale e epistemologico, alla luce del quale assumere le decisioni di natura normativa (veicolate dal canale politico o da quello giurisdizionale).
Una co-produzione, in senso metodologico e concettuale prima che normativo, che potrebbe riguardare anche le modalità di ingresso del pluralismo assiologico che le diverse società esprimono in modo sempre più forte e continuativo e che potrebbe contribuire in modo decisivo a determinarne il progressivo livello di sostenibilità da parte di ciascun ordinamento giuridico.